Buona Pasqua

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Ma quale Unità !

IL 17 MARZO È IL GIORNO CHE SEGNA LA MORTE DEL VERO IDEALE DI UNITÀ NAZIONALE ASSASSINATO DAL SAVOIA SU ORDINE DELL’INGHILTERRA

QUESTA È L’ITALIA FRUTTO DI ANNESSIONI MANU MILITARI ALLA DATA DEL 17 MARZO DEL 1861.

DI CHE FESTA DELL’UNITÀ PARLANO se mancano ancora grosse fette di territorio da conquistate, annettere e sottomettere al piccolo Piemonte?
Il nostro pensiero sull’intera vicenda risorgimentale è quello di Vincenzo Gioberti:
“ Supporre che l’Italia, divisa com’è da secoli, possa pacificamente ridursi sotto il potere di uno solo, è demenza; il desiderare che ciò si faccia per vie violente, è delitto, e non può non nascere se non nell’animo di coloro, che guastano la politica, anteponendola alla morale, e disonorano la Patria, separandone gli interessi e i diritti dalla mansuetudine e dalla giustizia”.

A SCUOLA NON CI HANNO MAI RACCONTATO che il vero progetto per l’unificazione era ben diverso, soprattutto che era fondato sul rispetto delle autonomie, delle lingue e della cultura. Non vi era traccia di prevaricazioni né di sopraffazioni politiche o economiche: ogni Stato italico avrebbe portato il suo contributo in cultura ed economia.
Ma per l’Inghilterra la nascita di una vera Nazione Italiana, da lei svincolata, nel cuore del “suo” Mediterraneo era una grande minaccia per i suoi diffusi e radicati interessi economici.
E così che il piccolo Piemonte fu incaricato dalla massoneria inglese di impedire il progetto italico di vera unità nella pace e nella concordia e di conquistare con la forza delle armi gli stati italici, imponendo loro un Governo conforme alle strategie inglesi. Fu una “malaunità” di cui oggi ne raccogliamo i peggiori frutti.

Affermò Fëdor Michailovic Dostoevski:
“ È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese, un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour! “.

Chi crede nella verità, nella giustizia e nella concordia il 17 marzo non ha proprio niente da festeggiare, perché è una data che rappresenta la morte di un Ideale, la morte di una nazione uccisa ancor prima di nascere.

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Rappresaglia Italiana

Dopo 23 anni, in occasione dell’anniversario dei 160 anni dall’eccidio, esce in una nuova edizione rivisitata, con l’editore Marotta&Cafiero e nella collana ‘O Pappice diretta da Pino Aprile, il libro che tra i primi raccontò quanto accadde a Pontelandolfo e Casalduni il 14 agosto 1861.
Il testo è stato rivisto, l’introduzione è completamente nuova e fa il punto su negazionismi e studi che, dall’uscita della prima edizione 23 anni fa, si sono succeduti.

14 agosto 1861. Una banda di briganti uccide 41 soldati del neonato esercito italiano. 400 bersaglieri vengono inviati a Pontelandolfo e Casalduni dagli alti comandi. È una strage, una rappresaglia italiana. Un eccidio dell’Italia post-unitaria.
Gigi Di Fiore, attraverso la storia di due giovani, ricostruisce la violenza sul paese e sui suoi abitanti. Un libro a cavallo fra il romanzo e la ricostruzione storica, che racconta una delle pagine più sanguinose del Risorgimento. Un volume necessario che solo il talento narrativo di Gigi Di Fiore poteva regalarci.
Gigi Di Fiore è una delle firme più autorevoli de Il Mattino, ha pubblicato oltre 20 libri. Esperto di camorra, di storia del Mezzogiorno e revisionismo del Risorgimento. Vincitore del Premio Saint Vincent per il giornalismo e del Premio Dorso per il Mezzogiorno. È cittadino onorario di Pontelandolfo.

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Gaeta resiste ancora

13 FEBBRAIO 1861
13 FEBBRAIO 2021
OGGI SONO 160 ANNI
E GAETA RESISTE ANCORA

Massacrati, deportati come soldati e come civili, arrestati, licenziati e poi emigranti… Si tratta di centinaia di migliaia di persone (e poi milioni quando diventiamo emigranti) in gran parte giovani e in meno di dieci anni. Che cosa resta? Resta un popolo dimezzato nelle cifre e nelle aspirazioni, nei progetti e nelle speranze. Conoscete un altro popolo nel mondo che per tanto tempo e per tante persone abbia subito un trattamento simile? Questo ci spiega perché è così complicato ritrovare la strada di un riscatto. Questo ci spiega perché è così necessario continuare il nostro lavoro di ricostruzione di verità storica, identità e orgoglio. Questo ci spiega perché i risultati finora raggiunti in questo lavoro e i segnali di vita, di rabbia e di speranza che i popoli dell’ex Regno delle Due Sicilie continuano a dare sono quasi miracolosi, piaccia o no a qualcuno. Ed è quasi un miracolo che ancora esista questo Popolo e che magari, a poco a poco, stia riacquistando la sua memoria e anche le sue aspirazioni e le sue speranze”.
(Gennaro De Crescenzo, “Noi, i neoborbonici”, 2016).

Il 13 febbraio a Gaeta fu spezzata la storia

del Regno delle Due Sicilie

Abbiamo ricominciato proprio da Gaeta a scrivere una nuova storia
per riannodare il filo della nostra Storia
Il 13 febbraio si espone
la Bandiera del Regno Delle Due Sicilie

IL NOSTRO GIORNO DELLA MEMORIA

Fa male ricordare. Ma è necessario. E’ necessario perché “l’ingiustizia e i crimini contro l’umanità, perché non si ripetano, si combattono con la forza della memoria e non con il velo dell’oblio” come si affermava nel Bollettino della Rete Due Sicilie il 14 agosto del 2003.
Per crimini contro l’umanità s’intendono “azioni criminali ovvero violenze e abusi contro popoli o parte di popoli o che, comunque, siano percepite, per la loro capacità di suscitare generale riprovazione, come perpetuate a danno dell’intera umanità.”
Ciò che accadde a Pontelandolfo, Casalduni, Campolattaro, ma anche in Sicilia, in Calabria, in Lucania, in Abruzzo, nel resto della Campania e del Sannio, deve al più presto divenire oggetto di una seria indagine storica finalizzata al riconoscimento di quelli che, sicuramente, furono crimini di guerra perpetrati dalle truppe piemontesi ai danni dei soldati e delle popolazioni civili meridionali, che reagivano all’illegittima invasione e che, sicuramente, sono da considerarsi, per la loro efferatezza e crudeltà, crimini contro l’intera umanità.
Da Bronte in Sicilia fino a Fenestrelle, il tremendo lager Savoia ai piedi delle Alpi piemontesi, dove furono deportati i soldati fedeli al sovrano Borbone, ci sono i segni tragici di una storia che non si pacificherà finché non verrà accuratamente indagata e svelata. Possiamo in questa sede solo ricordare alcune atrocità che ci tramandano fonti borboniche e fonti piemontesi, proprio per non dimenticare. Possiamo ricordare i bersaglieri che nel paese di Pontelandolfo, per ordine del Negri, lo stesso Negri al quale fu dedicata una lapide commemorativa, fucilarono quanti capitavano a tiro: preti, uomini, donne, bambini e che saccheggiarono le case, violentarono le donne, diedero alle fiamme e rasero al suolo il paese di 4500 abitanti. Morire subito fucilati o arsi vivi era da considerarsi una fortuna nel paese, perché morire subito e ingiustamente avrebbe evitato altre violenze contro il genere umano. Ricordiamo tristemente Nicola Biondi, un contadino sessantenne legato a un palo della stalla da una decina di bersaglieri che denudarono di fronte a lui la figlia sedicenne e la violentarono a turno per poi lasciarla a terra sanguinante per la vergogna e il dolore, mettendo infine termine alle sofferenze di entrambi fucilandoli. Ricordiamo Santopietro che, con il figlio in braccio, cercando di fuggire, fu bloccato dai militari che gli strappano il bambino dalle braccia e lo uccisero. Nemmeno le donne che si erano rifugiate nelle chiese furono risparmiate, alcune vennero denudate e violentate davanti all’altare, poi uccise. Una, per aver opposto resistenza graffiando l’aggressore, venne mutilata delle mani e poi ammazzata. Tutte le chiese furono oltraggiate, le ostie sante gettate, i calici, i quadri, e tutti gli oggetti sacri, se preziosi, rubati. Alla fine i ligi bersaglieri piemontesi riuscirono ad accontentare il Cialdini che aveva ordinato che non restasse di quel paese pietra su pietra. Poche ore dopo l’accaduto, il Negri telegrafò infatti a Napoli: “Giustizia è fatta”.
Prima di iniziare ricerche più approfondite, prima di adoperarsi per un’azione più energica volta al riconoscimento di queste stragi, in attesa di un’ammissione di colpe e di una sorta di giustizia, ogni essere umano che viene a conoscenza di questi eventi disumani e in particolare ogni meridionale, in questa nostra giornata della memoria non può far altro che ritagliarsi almeno un minuto di silenzio.

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A Gaeta

NEL RICORDO DELLA NOSTRA

ANTICA PATRIA E DEI CADUTI NELLA SUA DIFESA

Quest’anno, purtroppo, non sarà possibile raggiungere “le sacre torri di Gaeta” per ricordare l’estrema difesa di una Patria Antica ed autenticamente nostra, ma la grande Bandiera sarà comunque issata sui pennoni di Gaeta nel pomeriggio del prossimo 13 febbraio. Come oramai è tradizione, la Bandiera che sventolerà sulla gloriosa Batteria è stata donata dalla Fondazione Francesco II e benedetta nel corso della celebrazione Eucaristica officiata da Don Luciano Rotolo a Conversano lo scorso 8 dicembre.

La cerimonia del Vessillo issato sul pennone della Batteria Carlo V sarà trasmessa in diretta e sarà curata solo dalla piccola delegazione ammessa in quei luoghi. Per accedere alla pagina Facebook del Movimento dove seguire la cerimonia in diretta, nonché gli interventi dei rappresentanti dei movimenti, associazioni ed enti che ogni anno partecipano al raduno di Gaeta, cliccare su

https://m.facebook.com/Movimento-Neoborbonico-518915204798916

Il 13 febbraio saremo tutti con la mente e con il cuore su quegli spalti dove i nostri Eroi difesero fino all’ultimo anelito di vita la nostra dignità e la nostra identità di Popolo e di Nazione.

A Gaeta!

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I Savoia chiedono scusa

I SAVOIA

di Claudio Aureli

Emanuele Filiberto di Savoia chiede scusa alla comunità ebraica per le leggi razziali sottoscritte dai suoi antenati. Gesto nobile, ma insufficiente. I Savoia dovrebbero chiedere perdono almeno per altre tre ragioni di seguito chiarite.

Gli storici revisionisti descrivono i veri fatti concernenti il Risorgimento, facendo accapponare la pelle del lettore. I Savoia hanno depredato, impoverito e massacrato il Sud, trasferendo le sue copiose ricchezze nel misero Nord. Il Piemonte, in modo particolare, era sull’orlo della bancarotta. Interi paesi sono stati rasi al suolo per combattere il cosiddetto Brigantaggio, ovvero la Resistenza del Sud contro gli invasori savoiardi che non avevano dichiarato nessuna guerra. Dal 1861, le aree del Sud sono diventate e rimaste tuttora colonie del Nord.
Siamo entrati in guerra nel 1915 dopo aver furbescamente tradito l’Austria, al fine di ottenere le colonie promesse da Francia e Inghilterra, mai ricevute.

Gran parte dei partiti politici dell’epoca e della popolazione erano contrari all’intervento armato. In sintesi, la Grande Guerra, voluta dai Savoia, ha prodotto questi risultati: 650.000 giovani vite spezzate; vertiginosi debiti; un’intera nazione affamata; occupazione di due soli lembi di terra (provincia di Bolzano e Quarnaro, poi restituito alla Jugoslavia). FIAT, Ansaldo ed altre società, principalmente del Nord, hanno ricevuto sostanziose commesse mentre i nostri nonni morivano in trincea. Infine, come se non bastasse, il treno che da Aquileia trasferiva a Roma la Salma del Milite Ignoto ha percorso un tragitto che trascurava completamente le regioni del Sud, che avevano inviato al fonte circa il 50% dei soldati mobilitati.

Durante il secondo conflitto mondiale, il Re ed altri personaggi politici sono fuggiti da Roma lasciando l’esercito privo di precisi ordini. I massacri avvenuti a Cefalonia e in altre località gridano vendetta. Tralascio volutamente le vittime italiane di questa seconda guerra mondiale e le numerose tragedie vissute da altri popoli per causa nostra.

Leggo nei libri scritti da alcuni storici, che prima del definitivo saluto dell’ultimo Re, Umberto II di Savoia, sono partiti da Roma diversi treni per la Svizzera. Se i fatti sono veri, cosa contenevano i vagoni? Il simpatico Emanuele Filiberto di Savoia, sicuramente sincero e privo di colpe, non può soffermarsi solo sulla delicatissima questione ebraica, come se il resto fosse stato già condonato.

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Il 13 febbraio è il nostro Giorno della Memoria

PER LE VITTIME MERIDIONALI DELL’UNITÀ D’ITALIA
Celebreremo anche quest’anno il 13 febbraio, ultimo giorno del Regno delle Due Sicilie a Gaeta, il Giorno della Memoria per il Sud con una serie di eventi che quest’anno, purtroppo, saranno online.
Nessuna “vendetta”, Re Francesco non vuole; nessuna “divisione”, già siamo abbastanza divisi (mai uniti); “nessun rancore”, un sentimento a noi sconosciuto. Questi sono elementi che non fanno parte della nostra tradizione da oltre 2000 anni.
Solo il diritto di ricordare tutta la storia, anche quella che portò al Sud massacri, fucilazioni, arresti, deportazioni con un’emigrazione ed una Questione Meridionale mai conosciute prima e tuttora in corso nel silenzio degli storici “ufficiali” e dei politici locali e nazionali “ciucci e venduti”. E alcuni di essi sono anche contrari a dibattiti o riflessioni, alcuni offendono quella memoria, alcuni propongono “l’oblio” dopo 160 anni di mistificazioni e cancellazioni di verità ormai rivelate e sempre più diffuse.
In un recente video il noto prof. Barbero attacca, nelle risatine della sala, chi chiede il Giorno della Memoria e qualcuno, prima o poi, ci spiegherà se è più “divisivo” il giorno della memoria o un Paese che non assicura pari diritti a tutti i suoi abitanti da oltre un secolo e mezzo…

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Contro l’Oblio – Pino Aprile

Il nuovo libro di Pino Aprile
CONTRO L’OBLIO
Giorno della Memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia.

“D’Azeglio aggiunse che fatta l’Italia, dovevano fare gli italiani. Li hanno fatti. Fuori”.
13 febbraio 1861. Fine dell’assedio di Gaeta. Il Generale Cialdini trasforma la vittoria piemontese in una carneficina. Vengono così sepolte le voci dei vinti. Da Casalduni a Pontelandolfo, da Auletta a Bronte, eccidi e stragi dimenticate. Pino Aprile lotta per l’istituzione di un giorno della memoria delle vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Restituisce un volto a sconfitti, umiliati, conquistati e oppressi. Immagini e dati accompagnano gli scritti di Pino Aprile, che però racconta anche il Mezzogiorno del XXI secolo: sospeso tra disuguaglianze territoriali e speranze di cambiamento. Non ci può essere nazione senza memoria, unità senza riconoscimento dei propri errori.
Dall’autore del bestseller Terroni, un volume per istituire il giorno della memoria per le vittime meridionali.

SCAMPIA, NAPOLI, SUD (E PINO APRILE).
Cari amici del Movimento Neoborbonico, sono Rosario Esposito La Rossa direttore della casa editrice di Scampia “Marotta&Cafiero editori”. Con questo messaggio voglio annunciarvi la pubblicazione del nuovo libro di Pino Aprile CONTRO L’OBLIO – giorno per la memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia” all’interno della nuova collana meridionalista (‘O PAPPECE).
Un volume che si batte fortemente per l’istituzione del giorno della memoria del Sud. All’interno numerose infografiche, schede, foto di eccidi e stragi piemontesi. Anche una mappa e l’elenco dei nomi delle vittime. Un volume da utilizzare anche tra i più giovani. Il volume sarà pubblicato in occasione della manifestazione di Gaeta. Per voi amici del Movimento Neoborbonico c’è un piccolo sconto acquistando sul sito www.marottaecafiero.it e inserendo il codice sconto “gaeta”. Per chi abita a Napoli consegna a domicilio gratuita. Spero vogliate sostenere la nostra casa editrice di frontiera (rendendo concreta anche la campagna “compra Sud”).
Un forte abbraccio a tutti voi

PS
Quest’anno saranno celebrati i 160 anni dell’unificazione italiana. Noi “contro-celebriamo” con un piccolo regalo: le prime 160 copie per i primi 160 ordini saranno numerate con segnalibro in edizione limitata.

 

 

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L’Oro del SUD per finanziare il NORD

COME LE RISERVE IN ORO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE FINIRONO AL NORD ITALIA

Nel 1865 era ancora in vigore la piena convertibilità della moneta con l’oro, quando la Banca Nazionale studiò una vergognosa speculazione che vendeva al Sud titoli di credito pubblici, ricevendo in cambio moneta del Banco di Napoli che poi si convertiva in oro agli sportelli dell’istituto di credito meridionale. In questo modo, dopo il furto di Garibaldi & C., continuarono a diminuire le riserve auree del Banco: da 78 milioni del 1863 a 41 milioni nel 1866. Al contrario, come era stato progettato, le riserve auree della Banca Nazionale del Regno d’Italia aumentarono di 6 milioni.
A completamento della grande truffa, ci fu la famigerata legge del 1° maggio 1866 sul corso forzoso: la moneta del Banco di Napoli poteva essere convertita con l’oro dei propri depositi, mentre si dichiarava “inconvertibile” la moneta emessa dalla Banca nazionale. In questo modo l’oro piemontese veniva messo in salvo, mentre quello custodito al Sud fu sostituito da monete di carta, deprezzate dalla continua inflazione. Il tanto vituperato Banco di Napoli finì per salvare dal fallimento l’istituto di credito piemontese, garantito dalla “non conversione” delle monete di sua emissione.
Nel 1898 si mise fine alla pluralità delle banche che potevano emettere moneta. Nacque la Banca d’Italia: al Mezzogiorno ne furono concesse 20.000 azioni contro le 280.000 del Centro Nord. La sola Liguria ne possedeva più di 120.000. Le ex Due Sicilie continuavano ad essere considerate terra di conquista. Non solo militare, ma anche e soprattutto economica.

Liberamente “saccheggiato” dal libro di Gigi Di Fiore – Controstoria dell’Unità d’Italia.

 

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L’incalzante mitologia anti-neoborbonica

Sappiamo bene gli sforzi che il mendacio cerca di produrre soprattutto negli ultimi tempi ai danni della ricerca neoborbonica nell’ambito della divulgazione storica.
Il loro grottesco tentativo è di trasformare la sacrosanta rivendicazione storica dei neoborbonici in “vittimismo fanatico”, sfoderando il peggio della mitologia risorgimentale.
Lo scopo è sempre lo stesso: portare avanti indisturbati la gestione della cultura ufficiale sulla quale sono fondate la maggior parte delle istanze politiche italiote da oltre 160 anni, tutte vergognosamente nord-centriche.
Ma, purtroppo per loro, oltre ad un’agguerrita schiera di ricercatori e scrittori del mondo neoborbonico, diversi autorevoli studiosi, anche di livello internazionale, hanno confutato le traballanti tesi dei cattedratici di regime, con la pubblicazione di saggi ottimamente argomentati, generando tra alcuni storici prezzolati reazioni scomposte che spesso hanno assunto i connotati di una vergognosa intolleranza culturale e razziale nei riguardi dei neoborbonici.

Addirittura, nel vano tentativo di arginare il dilagare della pubblicistica identitaria neoborbonica, hanno dato sfogo ad una retorica risorgimentale antica, riproponendo l’esaltazione acritica e faziosa del primo risorgimento. Non tenendo conto nemmeno di quanto loro stessi hanno in precedenza ammesso, in alcuni programmi televisivi specializzati hanno presentato tesi storiche ottocentesche, abbondantemente superate grazie al ritrovamento di importanti fonti archivistiche. Infine, messi di fronte a devastanti ed inconfutabili verità, hanno avuto il coraggio di suggerire “l’oblio di questa parte di storia per amor di patria”.
Tuttavia, in questo scontro culturale impari per i mezzi di diffusione a disposizione dei detentori dell’informazione storica italiana, si sta verificato un effetto collaterale da loro non previsto: al dibattito storico, seppur a distanza, si sono sovrapposte questioni politiche in alcuni casi preoccupanti. Infatti, alcuni risorgimentalisti estremisti, per soffocare ogni esigenza identitaria neoborbonica, sono arrivati al punto di chiedere la restaurazione di un centralismo vetero-savoiardo senza precedenti nella storia della Repubblica, riproponendo simboli, nomi ed “eroi” appartenuti ad una monarchia aberrante, razzista e sanguinaria.
Di fronte a questo contrasto tra verità storica, dettata da un’esigenza di riscatto morale e sociale, e mitologia risorgimentale, finalizzata alla conferma del potere dell’informazione e della cultura, chi trae i propri interessi sono sempre loro, i “baroni universitari”, coloro che devono le loro fortune alle conferenze con pubblico “pagato”, alla vendita forfettaria di libri ad enti ed istituzioni culturali dello Stato ed a trasmissioni televisive super blindate, dove nulla, nemmeno per qualche secondo, può permeare la stantia cultura del mendacio.
In questo clima di aspra contrapposizione culturale, si sta verificando un altro incredibile paradosso: gli avversari della cultura di regime, i neoborbonici, hanno assunto il ruolo di veri moderati, mentre i difensori di una storia falsa e manipolata diventano sempre più intolleranti estremisti.
E’ chiaro che alla base di tutta la questione ci sta il netto rifiuto da parte di chi, detenendo il potere della cultura e dei mass media, non accetta un confronto paritetico, documentale e, soprattutto, faccia a faccia con i neoborbonici, con il risibile pretesto di non ritenerli degni di trattare la storia. Preferisce sentenziare a distanza, trincerandosi vigliaccamente dietro il monopolio dell’informazione e colpendo di tanto in tanto i vulnerabili mezzi informatici dei neoborbonici. Una vivace contrapposizione che, subendo proprio in questi giorni una notevole recrudescenza, richiederà ai neoborbonici ed ai loro amici un ulteriore impegno sui vari fronti di discussione a distanza ed una più oculata e capillare diffusione della verità storica.

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