Una passione che alimentò prima la moda e poi gli affari.
di Carmine Cimmino
Carlo III dedicò cure particolari all’addestramento della cavalleria napoletana, di cui ridisegnò ordini, sistemi e comandi. Murat completò l’opera. Gli squadroni di cavalieri napoletani che egli condusse con sé in Russia, al seguito di Napoleone, meritarono più volte l’elogio dell’ imperatore. Il 5 dicembre 1812 i “diavoli bianchi“ – così erano chiamati, dal colore del mantello – travolsero con una carica impetuosa, presso Osminiana, due reggimenti di cosacchi. L’azione fu a tal punto apprezzata da Napoleone che egli concesse a questi valorosi l’onore di scortare la sua carrozza, che era guidata da un cavaliere napoletano, Ottavio De Piccolellis.
Nell’inverno russo il termometro segnava quasi 20 gradi sotto zero e ai napoletani, vestiti in grande uniforme, come se sfilassero in parata, si gelarono i piedi e le mani. L’antica passione, rimessa in moto da Murat, alimentò prima la moda, poi gli affari. Ferdinando II era un buon conoscitore di cavalli. Di solito, visitava le due fiere di Caserta e quella di Aversa, e spesso vi comprò puledri. Pretendeva di essere informato sugli acquisti importanti di nobili e borghesi, e si diceva che non gli facesse piacere veder girare per la città “tiri“ troppo costosi.
Molti nobili napoletani, che sapevano quanto fosse ombroso il re, prudentemente trasferirono i loro purosangue nelle scuderie delle ville di campagna. Dopo il 1840, la passione per i cavalli dilagò anche tra i borghesi della provincia. Non ci fu programma di festa civile o religiosa in cui non venissero inserite corse di galoppo, o giostre in piazza. La passione fu anche alimentata dal fatto che nel 1835 i comandi dei reggimenti di cavalleria di stanza a Nola, a Caserta, a Salerno vennero autorizzati a gestire direttamente la vendita all’asta dei cavalli dell’esercito dichiarati, per l’età e per gli acciacchi, “fuori ruolo“.
Negli anni ’50 Giuseppe IV Medici, principe di Ottajano, diede un eccezionale impulso all’attività della Commissione per il miglioramento delle razze equine, di cui era diventato, per volontà del Re, Presidente. Giuseppe era certamente uno dei più esperti conoscitori di cavalli di tutto il Regno, in grado di competere con gli intenditori siciliani, perfino con Ferdinando Malvica e con Pietro Lanza di Butera, che erano considerati autorità assolute in questo campo. Il fulcro dell’attività della Commissione fu la tenuta di Carditello, in cui gli stalloni di proprietà dell’ Ente “montavano“ le fattrici dei privati. I documenti della Commissione dicono chiaramente che negli ultimi anni dei Borbone gli allevatori privati investirono cospicui capitali nell’allevamento di cavalli selezionati e nel miglioramento delle razze equine.
Nel giugno del ’54 Glen Welt, “figlio di Lanercost e di una figlia di Taragon, stallone purosangue, bajo scuro, piccola stella in fronte”, monta 23 giumente, di cui 4 appartengono a Enrico Gallozzi, uno degli allevatori più importanti: “Barbarella, morella di anni 5, razza propria; Susanna, morella castagna, regnicola; Fortuna, storna mezzo sangue razza inglese; Potresina, baia, razza propria”.
Lo stallone monta anche due cavalle del nolano Davide Perillo, la baia mezzosangue Bellaspetto e la saura Zingarella, e la saura Orca, del Conte di Sclafani. Nello stesso mese Cambermere, “figlio di Bran e di Eleanor, stallone di puro sangue, di manto baio” “copre” cavalle importanti: Ergia, baia purosangue, di anni 11, di razza inglese, che don Giuseppe Calzolajo ha comprato in Francia; Paggiana, storna, di anni 14, di razza mista, che il proprietario, Pasquale Capitelli, ha fatto correre, con successo, a Livorno e a Genova; Signorella, araba purosangue, storna, di 14 anni, che appartiene ad Angelo Adinolfi. Ma il fuoriclasse è Garilan, uno stallone arabo, di manto storno, ogni monta del quale costa al proprietario della giumenta 6 ducati, a cui bisogna aggiungere mezzo ducato per i palafrenieri Antonio Raus e Vincenzo Apollonio.
Don Giulio Torno paga, invece, 10 ducati, e in più un ducato ai palafrenieri, perché Garilan “copra“ la sua Duchessa, una saura bruciata, di 25 anni, della razza di Persano. Nel 1856 il bando dell’ Intendente di Caserta, pubblicato anche nei Comuni della Provincia di Napoli, comunica che gli stalloni scelti per la monta sono Bold Davie, purosangue arabo, figlio di Priam e di Fair Rosamond, di manto baio, che nel ’55 ha “coperto“ 5 giumente del Conte di Montesantangelo, 2 del Principe di Gerace, 2 del sig. Fiondella, che è forse di Aversa, dove certamente possiede un importante allevamento di bufali; Lindrich, purosangue inglese, figlio di Truc Boy e di una figlia di Actacon, baio con due piccolissimi segni bianchi ai piedi di dietro.
L’anno prima Lindrich, appena arrivato a Carditello, ha montato tre giumente del Principe di Ottajano e due del Principe di Montemiletto, entrambe della razza di Persano, Ginestra e Mongiana. E sarebbe interessante sapere cosa spinse il Principe a dare alla cavalla il nome della fonderia calabrese. Nel ’57 gli stalloni sono Voyager e The Lord of the Manor. Voyager è figlio di Cardinal Puff e di una figlia di Blucher, che fu madre anche di Emigrant. The Lord of the Manor è un baio inglese mezzosangue, con piccola stella sulla fronte. Ogni monta costa 11 ducati, 10 alla Commissione, e 1 ai palafrenieri. Dopo le prime monte, The Lord viene colpito da una violenta colica nefritica.
Il veterinario Aniello Russo interviene, dopo aver avuto l’approvazione del Principe di Ottajano, con clisteri e bibite di decozione di malva con l’aggiunta di nitro. Le carte non ci dicono quando e come il cavallo riprende l’attività.
Uno dei cavalli bronzei della Reggia di Napoli