La balla dei Borbone antituristici
di Ruggero Guarini
Fra le tante singolari esperienze che si possono fare rovistando nei cassetti della nostra letteratura risorgimentale, ovviamente nell´intento di onorare con qualche lettura patriottica questo compleanno dell´Italia Una, la più sorprendente potrebbe anche essere la scoperta che Napoli e tutto il Mezzogiorno, verso la metà dell´Ottocento, furono esclusi dagli itinerari dei viaggiatori europei.
La causa del fenomeno, secondo i sostenitori di questa amenissima tesi, era naturalmente l´orrore destato in tutta Europa dallo stato di estrema derelizione e barbarie in cui il Regno delle Due Sicilie era caduto sotto gli ultimi Borbone. Su questo gustosissimo argomento il documento più autorevole è comunque il celebre saggio sul Quarantotto napoletano di quell´astro del nostro giornalismo ottocentesco che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina. In quella gagliarda operina, concepita e pubblicata nel 1850, ossia subito dopo i fatti di quell´anno leggendario, fra i tanti passi vibranti di afflati civili e di antiborbonici sdegni che vi si susseguono ininterrottamente dalla prima all´ultima pagina, figurano infatti anche queste impavide righe: «La nazione napolitana è incognita nella famiglia dei popoli di Europa. I viaggiatori rimuginano sino negli ultimi recessi dei poli, sino nell´ultima oasis del Sahara, ricercano le sorgenti dei fiumi, salgono i culmini delle montagne, e trascurano rivolgere uno sguardo ad una terra sulla quale vive un popolo poetico ed appassionato, e per la quale Iddio ha esaurita la sua opulenza di creazione».
Napoli e tutto il Sud diventati luoghi sconosciuti ai popoli europei; le loro bellezze leggendarie ormai trascurate dai forestieri; il nostro cielo, il nostro mare, le nostre isole, i nostri golfi battuti, nel cuore dei giramondo, dai deserti africani e dalle regioni polari: insomma tutto il nostro Mezzogiorno risucchiato, nel bel mezzo dell´Ottocento, dal gorgo del disinteresse mondiale: per quali eccentrici e impervi sentieri il Petruccelli (che Indro Montanelli definì “il giornalista più brillante del suo tempo”, mentre Benedetto Croce lo criticò molto severamente) poté pervenire a questa scoperta sconvolgente? Quale altissima esigenza del suo spirito gli impose di rimuovere di botto dalla sua dotta mente l´immagine delle armate di pellegrini tedeschi e inglesi, francesi e spagnoli, americani e russi, che avevano continuato imperterriti, persino nel cuore della nostra età risorgimentizia, a visitare e perlustrare incantati le nostre terre, scegliendo non di rado di soggiornarvi a lungo, mostrando così di infischiarsi altamente delle supposte infamia perpetrate dai nostri re lazzaroni e bombardieri? A provocare quell´improvvisa amnesia fu forse l´effetto di alcune generose bicchierate? O non fu piuttosto lo stato di profonda e ininterrotta esaltazione prodotto nella sua zucca dai suoi crucci politici e ideali?
A incoraggiarci a preferire quest´ultima ipotesi può bastare un qualsiasi altro passo del citato saggio del Petruccelli. Mi limiterò comunque a riportarne il primo capoverso «L´Europa si è chiusa sul mezzodì dell´Italia come le onde del mare sur un vascello naufragato. I deboli gridi, che giungono a scappar fuori da quella muda, non producono più alcuna impressione. Impassibile, indolente l´Europa assiste alla consumazione del lento sacrifizio di quei miseri senza che un segno di simpatia, senza che un motto di protesta si slanci per confirmare a Ferdinando Borbone il crisma di carnefice di Napoli, mannaia d´Italia, e gridargli: arresta! Tanto oblio è un´ingiustizia. E se ciò è il fatto della provvidenza o della fatalità che spinge la vita umana, l´uomo non deve piegarvi rassegnato la testa, fino ad autorizzare un delitto».
Siamo giusti: un uomo animato da una simile passione antiborbonica non poteva certo sottrarsi al dovere di rivolgere agli oggetti del suo odio ogni possibile contumelia, compresa l´accusa di essere riusciti a far cancellare il loro Regno dalle mappe del Gran Tour.
La causa del fenomeno, secondo i sostenitori di questa amenissima tesi, era naturalmente l´orrore destato in tutta Europa dallo stato di estrema derelizione e barbarie in cui il Regno delle Due Sicilie era caduto sotto gli ultimi Borbone. Su questo gustosissimo argomento il documento più autorevole è comunque il celebre saggio sul Quarantotto napoletano di quell´astro del nostro giornalismo ottocentesco che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina. In quella gagliarda operina, concepita e pubblicata nel 1850, ossia subito dopo i fatti di quell´anno leggendario, fra i tanti passi vibranti di afflati civili e di antiborbonici sdegni che vi si susseguono ininterrottamente dalla prima all´ultima pagina, figurano infatti anche queste impavide righe: «La nazione napolitana è incognita nella famiglia dei popoli di Europa. I viaggiatori rimuginano sino negli ultimi recessi dei poli, sino nell´ultima oasis del Sahara, ricercano le sorgenti dei fiumi, salgono i culmini delle montagne, e trascurano rivolgere uno sguardo ad una terra sulla quale vive un popolo poetico ed appassionato, e per la quale Iddio ha esaurita la sua opulenza di creazione».
Napoli e tutto il Sud diventati luoghi sconosciuti ai popoli europei; le loro bellezze leggendarie ormai trascurate dai forestieri; il nostro cielo, il nostro mare, le nostre isole, i nostri golfi battuti, nel cuore dei giramondo, dai deserti africani e dalle regioni polari: insomma tutto il nostro Mezzogiorno risucchiato, nel bel mezzo dell´Ottocento, dal gorgo del disinteresse mondiale: per quali eccentrici e impervi sentieri il Petruccelli (che Indro Montanelli definì “il giornalista più brillante del suo tempo”, mentre Benedetto Croce lo criticò molto severamente) poté pervenire a questa scoperta sconvolgente? Quale altissima esigenza del suo spirito gli impose di rimuovere di botto dalla sua dotta mente l´immagine delle armate di pellegrini tedeschi e inglesi, francesi e spagnoli, americani e russi, che avevano continuato imperterriti, persino nel cuore della nostra età risorgimentizia, a visitare e perlustrare incantati le nostre terre, scegliendo non di rado di soggiornarvi a lungo, mostrando così di infischiarsi altamente delle supposte infamia perpetrate dai nostri re lazzaroni e bombardieri? A provocare quell´improvvisa amnesia fu forse l´effetto di alcune generose bicchierate? O non fu piuttosto lo stato di profonda e ininterrotta esaltazione prodotto nella sua zucca dai suoi crucci politici e ideali?
A incoraggiarci a preferire quest´ultima ipotesi può bastare un qualsiasi altro passo del citato saggio del Petruccelli. Mi limiterò comunque a riportarne il primo capoverso «L´Europa si è chiusa sul mezzodì dell´Italia come le onde del mare sur un vascello naufragato. I deboli gridi, che giungono a scappar fuori da quella muda, non producono più alcuna impressione. Impassibile, indolente l´Europa assiste alla consumazione del lento sacrifizio di quei miseri senza che un segno di simpatia, senza che un motto di protesta si slanci per confirmare a Ferdinando Borbone il crisma di carnefice di Napoli, mannaia d´Italia, e gridargli: arresta! Tanto oblio è un´ingiustizia. E se ciò è il fatto della provvidenza o della fatalità che spinge la vita umana, l´uomo non deve piegarvi rassegnato la testa, fino ad autorizzare un delitto».
Siamo giusti: un uomo animato da una simile passione antiborbonica non poteva certo sottrarsi al dovere di rivolgere agli oggetti del suo odio ogni possibile contumelia, compresa l´accusa di essere riusciti a far cancellare il loro Regno dalle mappe del Gran Tour.