Della questione si è già ampiamente dibattuto in passato, tuttavia nonostante un progressivo adeguamento dei mass media e degli scrittori, ogni tanto emerge il problema, soprattutto quando qualche giornalista, non sempre in buona fede, sfoggia di tutto il suo sapere, spesso di fonte giacobina, riproponendo i soliti luoghi comuni sui “Borboni tiranni e ignoranti”.
Pertanto è opportuno riprendere, seppur brevemente, l’argomento anche per considerare i recenti elementi forniti dai nostri ricercatori storici.
Va necessariamente premesso che è comprensibile se chi da molto tempo ha adottato un certo modo di dire errato, nel caso “Borboni”, sia ora poco propenso a cambiare idea ed avvalori con prove apparentemente inconfutabili le proprie considerazioni.
Quando, però, le proprie tesi cadono di fronte all’insufficienza ed alla limitazione delle prove fornite, occorre essere obiettivi ed accettare con serenità quello che per decenni, se non per secoli, è stata una distorsione, forse anche involontaria, di un nobile cognome.
Tanto per cominciare, va considerato che un errore antico ed abbastanza diffuso è stato quello di trasportare brutalmente in italiano parole latine, ed in questo caso nomi, lasciandone la declinazione. Sappiamo bene che nella lingua italiana non è possibile declinare al plurale un cognome, si rischia di citarne un altro. Di esempi ne abbiamo molteplici: Fornaro – Fornari; Visconte – Visconti; Vitali – Vitale ecc. Ma alcuni cattedratici “patentati” portano quale deroga a questa regola le famose due citazioni che Ferdinando II fece sul termine “Borboni”. Proposte da costoro quale unica prova, tali isolate citazioni non sono sufficienti a modificare o a derogare una regola grammaticale rigorosa, anche perché nemmeno un re lo può fare. A meno che non cambi il cognome, perché di questo si tratterebbe.
Tuttavia non si può escludere che quanto isolatamente scritto da S.M. Ferdinando II di Borbone potrebbe essere un errore di battitura oppure una necessità di comprendere soggetti dei vari rami francesi della Famiglia, polverizzata fino a disperdersi in mille rivoli di cui non c’erano più legami di parentela. In questo caso e solo in questo potrebbe essere tollerato un plurale tra diversi rami familiari ma, come affermò il Prof. Giuseppe Cicala, docente di Storia Antica dell’Università Federico II di Napoli: “Se fai il plurale dei Borbone devi comunque scrivere borboni in minuscolo perché non è più un cognome”. Infatti, per essere precisi, “Borboni” è un altro cognome che fa riferimento ad una casata totalmente diversa, seppur presente in Francia ed in Spagna. Il rischio, quindi, potrebbe essere che nel dire “i Borboni di Francia” ci si riferisca ad una ben definita altra famiglia che con i Borbone di Francia che intendiamo noi, nulla hanno a che fare.
Tra l’altro non si può nemmeno escludere un iniziale errore tipografico in una città, Napoli, dove le finali anche se scritte, spesso sono tronche e, quindi, la “i” dell’articolo, spesso induce, come regola parlata, di ripeterla alla fine del nome. Tenuto conto di ciò, niente di più facile che un improprio tentativo di trasporto in italiano de “i Borbon’, abbia generato “i Borboni”. Infatti, in alcune canzoni, qualora l’articolo determinativo è “lù”, troviamo “ lù Burbone”, qualora è “li”, “li Burbuni” .
Inoltre, è da tenere presente che i due riferimenti su quanto il re avrebbe scritto, appaiono assolutamente insignificanti rispetto alla mole veramente impressionante di casi (tutti) in cui la Dinastia viene regolarmente riportata con la versione “Borbone”, come sistematicamente fa lo stesso Ferdinando II.
In conclusione è da dire che rari esempi di cognomi coniugati al plurale in epoca antica, quale giustificazione di “Borboni”, sono talmente datati che si giunge ai primordi della lingua italiana, quando poca e confusa era la definizione dei nomi.