In tempi di difese d’ufficio (retoriche e senza più supporti di studi e ricerche) delle tesi “risorgimentaliste” ormai superate nel senso comune grazie al lavoro di storici magari “senza la patente” di “storico ufficiale” ma appassionati e documentati, un anniversario importante che la storiografia dimenticherà senza alcun dubbio. Tra qualche giorno i 150 anni della Legge Pica: la legge che autorizzò i sabaudi-italiani a massacrare “legalmente” chiunque si opponesse alla liberazione-conquista del 1860. La legge “per uccidere i meridionali”. Anche con effetto retroattivo, poteva essere qualificato come brigante e veniva giudicato dalla corte marziale chiunque fosse stato trovato armato in un gruppo di almeno tre persone; concessa la facoltà di istituire delle milizie volontarie per la caccia ai briganti; stabiliti dei premi in danaro per ogni brigante arrestato o ucciso; lavori forzati o detenzione per chi prestasse generici aiuti o sostegni (anche un pezzo di pane e formaggio) ai briganti… Migliaia le vittime di quella legge, vittime che nessuno ha mai veramente contato e raccontato. Giuseppe Pica (abruzzese, deputato, senatore e docente universitario), è un esempio di quei meridionali anti-borbonici che “vollero l’unificazione italiana” e che spesso sono magnificati dagli storiografi ufficiali. Dobbiamo aggiungere altro per capire quali meridionali si candidarono e come furono scelti per diventare classi dirigenti? G.D.C.
Ottimo intervento di Gigi Di Fiore sul suo blog
I primi 2 significativi articoli della Legge Pica
Art. 1. Fino al 31 dicembre corrente anno nelle Provincie infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali Militari, di cui nel libro II, parte II del Codice Penale Militare, e con la procedura determinata dal capo III del detto libro.
Art. 2. I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti colla fucilazione, o co’ lavori forzati a vita concorrendovi circostanze attenuanti. A coloro che non oppongono resistenza, non che ai ricettatori e somministratori di viveri, notizie ed ajuti di ogni maniera, sarà applicata la pena de’ lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze attenuanti il maximum de’ lavori forzati a tempo.