Le cronache locali ed i social sono pieni di quanto è accaduto sul Lungomare Partenope di Napoli: il crollo dell’arco borbonico. Ma, più che altro, sono polemiche circa la natura di quell’emergenza storica, non tanto di come e perché si è preferito perdere per sempre un testimone importante di una storia probabilmente troppo scomoda da ricordare. Ed allora, per meglio giustificare la sua perdita, qualcuno ha preferito definirlo “il chiavicone” anziché approdo alternativo del “popolo avascio”, quando era tanto basso quanto importante per un Governo di illuminati dal Signore e non dalle massonerie più o meno giacobine. Pertanto meglio definirlo “sporco ed inutile da curare nell’aspetto” perché solo il terminale di una fogna, tra l’altro ancora perfettamente funzione e senza manutenzione da qualche secolo. E anche se fosse stato solo uno scarico puzzolente, è come dire che la “cloaca massima” di Roma, prima sistema fognario nella storia dell’umanità, siccome non profuma è meno importante del Colosseo. Peccato che nella storia tutto è importante se gli si dà il giusto peso.
Tuttavia, nonostante il bailamme delle cronache, il vero problema non sta nella natura del monumento crollato, perché così, come l’arco borbonico, nel nostro Sud si stanno perdendo decine e decine di altre testimonianze storiche “più altolocate”. Ponti, porti, torri di avvistamento, fari, palazzi, regie, carceri, castelli, monumenti ed antichi acquedotti, in molti casi rigorosamente borbonici, sono lasciati all’incuria più totale ed alla loro distruzione lenta, ma inesorabile. Solo trascuratezza, pressappochismo, mancanza di fondi oppure qualcos’altro? Come accennato, tali monumenti danno fastidio, sono un oltraggio all’ideologia della menzogna, sono la testimonianza scomoda e concreta della gestione corretta di uno Stato, quello dei Borbone, e pertanto vanno contro gli interessi di chi costruisce oggi per far crollare domani, prendendo il doppio del suo valore reale. Ponte Morandi ne può essere un esempio, ma ce ne sarebbero molti altri. Eppure, a loro dispetto, l’arco borbonico si è mantenuto eroicamente per anni nonostante ridotto “su un piede solo”, in una lenta agonia che toccava il cuore anche ai più distratti passanti e c’è voluta una mareggiata “forza 8” per colpirlo a morte e fallo cadere, quando però il mare si era oramai calmato. Proprio come fa un eroe che compie il suo dovere di testimonianza fino all’ultimo, morendo quando la battaglia è oramai terminata, lasciando ai posteri il frutto del suo sacrificio.
Quell’arco crollato è il testimone di quanto interesse ha l’attuale classe dirigente, soprattutto meridionale, di fare a pezzi la storia, la cultura e la dignità di un popolo colpito non solo nell’economia, ma anche e soprattutto nella memoria e nell’orgoglio di appartenenza. Il vero motivo di una depressione sociale che, se non si risolverà in qualche modo, non ci consentirà giammai di alzare la testa dallo stato di sudditanza, anche politica, in cui siamo stati sprofondati dal 1861. “Ai napoletani non gli lasceranno nemmeno gli occhi per piangere”. Così è stato e così è ancora.
CROLLATO IL MOLO BORBONICO.
UNA VERGOGNA PER CHI POTEVA E DOVEVA IMPEDIRLO.
Nonostante gli appelli e le denunce di associazioni e movimenti, nella serata del 2 gennaio 2021 sono crollati i resti dell’antico approdo borbonico utilizzato per due secoli dai pescatori e valorizzato con altre funzioni sempre in epoca borbonica. Quando non si conserva la memoria storica non si ama la propria terra. Da troppo tempo abbiamo amministratori locali e nazionali senza consapevolezza e, per conseguenza, senza orgoglio. Comune, soprintendenza, regione… Tutti noi avremmo il diritto e il dovere di conoscere i colpevoli di questo piccolo, ma significativo ed ennesimo scempio ai danni dell’antica capitale del Regno delle Due Sicilie.
Movimento Neoborbonico.