LOMBROSIANAMENTE DISCORRENDO
di Antonio Pulcrano
“Salvatore Misdea”, è il titolo di un volume pubblicato qualche tempo fa dai ricercatori Domenico Romeo e Francesco Antonio Cefalì, dall’esauriente sottotitolo: “1884: Follia criminale o determinazione di un soldato del Sud Italia?”, domanda che esplica il senso stesso del libro.
Gli Autori, magistralmente, interpretano le fasi dello svolgimento del processo, a Napoli, dopo che il Misdea, soldato del Regio Regno Sabaudo, Calabrese di Girifalco, provocato e offeso ripetutamente, uccide in un impeto d’ira alcuni suoi commilitoni, ferendone altri, nella caserma della fortezza di Castel dell’Ovo, la sera di Pasqua dell’anno 1884.
La disanima del processo, nel volume, è ampia e particolareggiata, iniziando con la trascrizione di tutte le udienze, degli interrogatori in aula, degli interventi dei periti di parte e degli avvocati difensori. Tutto il volume, però, ha, a mio parere, il fine ultimo non di raccontare un qualsiasi evento omicidiario dell’ ‘800, ma quello di dimostrare come un Cesare Lombroso, a lungo ritenuto, erroneamente, il fondatore dell’Antropologia criminale, perito della difesa (sic!), nominato dal Tribunale, “manovra” tutto il dibattimento in modo da dimostrare una follia criminale congenita e razziale nel Misdea, basando le sue supposte diagnosi scientifiche su elementi craniali, fattezze del viso, comportamenti dei familiari e presunta discendenza etnica. Ebbene, queste teorie, reclamizzate ed acclarate come verità scientifiche, all’epoca, hanno fatto epoca, inculcando nell’immaginario collettivo una diversificazione razziale tra Nord e Sud Italia, che in realtà non esiste e mai è esistita. Oggi, le teorie del Lombroso e di accoliti suoi discepoli, sono completamente confutate dalla scienza moderna, eppure certi suoi concetti sono così radicati in ancora molti denigratori seriali delle popolazioni meridionali, che spesso si parla (o meglio, si sproloquia) di differenti “mentalità”, differenze che, invece, sono date esclusivamente (ahimé) dalla consistenza media dei rispettivi conti in banca.
Nel 1882, Lombroso fu radiato, per le sue cervellotiche affermazioni, dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia. Egli svolse ricerche sul “cretinismo”, anche qui basandosi su comportamenti legati alla fisiognomica, e, lui proveniente dal Veneto, per compiacere i Savoia quando la Regione ancora non era parte dell’Italia unita, pontificò persino che il cittadino veneto medio (quando deviato verso questa patologia) rappresentava il “cretino” tipico per eccellenza. Nel 1876, inaugurò a Torino (dove sennò?!) un museo di psichiatria e criminologia, poi chiuso per un periodo lunghissimo, ma riaperto nel 2009, sempre intitolato, è questo lo scandalo, nonostante la dimostrata nullità scientifica dei suoi studi, a Lombroso, cioè a Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare. Il museo contiene 684 crani e 27 resti scheletrici umani, oltre a 183 cervelli umani ed una moltitudine di crani e resti animali, corpi di reato, maschere mortuarie, manufatti e disegni, abiti di briganti, e lo scheletro dello stesso Lombroso. Quale apologia dell’orrido e del macabro, specie se consideriamo che il nome di Lombroso, volente o nolente, è ancora fortemente accostato a ricerche razziali antimeridionali, ormai confutate da tutti, ma assuefatte al pensiero corrente del nordico sparasentenze di turno. Oltre cento città, hanno chiesto la chiusura definitiva di tale sito, come: Assisi, Grosseto, Napoli, Bari, Crotone, Opera, Cosenza, Formia, Lavello, Cerveteri, Aversa, Calitri, Matera, Velletri e tantissime altre. Molti sono stati i ricorsi alle Magistrature, di svariati Comuni, per riavere i resti di propri concittadini “esposti” in questo inimmaginabile luogo e tante sono le cause ancora in corso. Il cranio di Giuseppe Villella, Calabrese, ha avuto la poco nobile funzione di fermacarte sulla scrivania del Lombroso per svariati anni: quale offesa, quale vilipendio, quale macabra affermazione di soverchia superiorità in questi gesti efferati, che mai più, nessuno di noi, dovrà tollerare. Arcidosso (Toscana), ha ottenuto, nel 1991, la restituzione degli effetti del predicatore David Lazzaretti, dal Nostro ritenuto un pazzo. Per gli altri “reperti”, in maggioranza meridionali, l’iter è più lungo e difficile (chissà perché?!).
Quindi, dato che l’imputato Misdea Salvatore, è “assassino perché imbecille morale”, condannato da “forma delle orecchie, rossore del viso, della forma del cranio, dall’appiattimento delle tempie tipico dei microcefali atavici calabresi, dagli occhi a mandorla che lo rendono simile ad un orientale”, la Corte lo condanna… alla pena di morte, previa degradazione. E giustizia è fatta! Il 21 giugno 1884, Misdea venne fucilato e lo spappolamento del cranio non ne permise la decapitazione e la “conservazione” tra i macabri reperti del Lombroso.
Conclude il volume un capitolo di desunzioni criminologiche e considerazioni investigative, oltre alla riproduzione di documenti, lettere e articoli dell’epoca.
Chissà, concludiamo noi, se oggi questo pseudoscienziato, produttore di scienze pseudotali, avrebbe mai misurato il cranio di un Pirandello o di un Mennea (atleta dalle sei lauree – Romeo e Cefalì, nel volume, raccontano l’aneddoto di quando Gianni Brera, giornalista sportivo, palpò il cranio di Mennea, ancora vivo per fortuna, chiedendosi come potesse un meridionale raggiungere quelle mete nello sport. Se non è retaggio lombrosiano questo?! Oggi nessuno sa chi era Brera, mentre Mennea è nella leggenda). Chissà se avrebbe mai misurato il cranio di un Sammartino, di un Pitagora o di un Giordano Bruno, oppure, oggi, di un Riccardo Muti, per fare solo qualche sporadico esempio. Alcuni decenni dopo, altri pazzi visionari, prenderanno ad esempio di tutti i mali del mondo altre razze ed altre etnie, fino a teorizzarne lo sterminio totale. Questi furono detti nazisti e sono condannati in ogni parte del globo; chi ha sterminato meridionali in nome di false idee, suffragato da false teorie, oggi ha pomposi e osannanti monumenti nelle nostre stesse piazze.
L’Università Statale di Torino, se vuole continuare a mantenere un museo legato alla Criminologia, vera scienza riconosciuta, ( l’antropologia criminale è considerata una bufala, una non/scienza), renda i crani dei calabresi ai paesi d’origine, cambi nome al museo, lo dedichi ad uno scienziato vero, serio e riconosciuto, e, solo allora, l’alone macabro antimeridionale di questo sito degli orrori verrà spazzato via. E, forse, con tutto ciò, anche le farneticanti menzogne cui siamo quotidianamente oggetto, che hanno fatto del Sud la negatività per eccellenza. Per tutto questo, perché bisogna finalmente rendere i conti della nostra Storia, questo museo, così com’è, deve chiudere.