Giuseppe Galasso, in un suo recente intervento sul Corriere della Sera, scrive dei rischi di un “PARTITO NEOBORBONICO AL SUD” e di “una deriva borbonizzante dilagante”: pur riconoscendo che certe idee stiano effettivamente dilagando se guardiamo al successo di molte iniziative editoriali e anche alla qualità e alla quantità di coloro che le stanno diffondendo, perché parlare di “deriva”? Solo perché si tratta di tesi non condivise dalla cultura ufficiale di cui Galasso era ed è autorevole esponente? Si definisce “borghese” questa “marcia”: al di là della relatività di certe categorie, si può definire “borghese” la massa enorme di soggetti (soprattutto giovani) di ogni estrazione sociale e culturale che in questi anni hanno “socializzato” la simbologia borbonica come segno di orgoglio e di appartenenza magari sugli stadi o che magari leggono e citano il libro di Pino Aprile (il best-seller “Terroni”) nei dibattiti o nelle scuole? Galasso, dopo 150 anni, continua a negare la conquista, il saccheggio, i massacri subiti dal Sud e realizzati da un “Nord cresciuto e arricchitosi con la rapina” del 1861. Per capire, invece, che queste tesi “neoborboniche” hanno più di un “fondamento storico”, basterebbe dare un’occhiata ai famosi depositi di tutte le banche italiane messe insieme all’atto dell’unificazione (668 milioni di lire di cui 443 nelle banche meridionali) o alla quantità di bonifiche realizzate negli ultimi dieci anni dal governo borbonico (e superiori a quelle realizzate dai governi italiani in tutto il Novecento) o alla “busta 60-fondo Brigantaggio” dell’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (con le circolari che suggerivano agli ufficiali sabaudi di evitare “la pratica della decapitazione dei cosiddetti briganti diffusa per comodità di trasporto”) o calcolare il numero delle “vittime” del brigantaggio stesso partendo magari dai (parziali) dati dello stesso Molfese per arrivare (tra uccisi in battaglia, processati, deportati nei lager del Nord, incendi di boschi, casali o masserie) a cifre intollerabili in un paese civile oppure spulciare i dati dello Svimez appena ripubblicati e relativi al PIL o la livello di industrializzazione pari o (in alcune aree) superiore nel Sud rispetto al Nord al 1861 con un divario che cresce (perché mai, visto che fino ad allora non eravamo “inferiori”?) in maniera vertiginosa fino ad oggi. Nessun “partito neoborbonico” e nessun “re da aspettare a Santa Lucia”, ma dopo 150 anni di una secessione che esiste di fatto (e forse è poco visibile dall’alto delle cattedre universitarie o delle ville a Posillipo) e con una Lega Nord al potere centrale e locale da decenni, quali ulteriori rischi correrebbe il Sud? In questo ipotetico “partito neoborbonico” ci sarebbero, per Galasso, “troppi galli a cantare” e mancherebbe un “duce in stile Bossi”, ma questa sarebbe solo la dimostrazione della diffusione di un simile movimento e anche della sua qualità in assenza (per fortuna) di un “duce in stile Bossi”. Lo stesso partito, in conclusione, sulla scorta di quello che avvenne (oltre mezzo secolo fa!) con il “partito di Lauro” procurerebbe “danni e macerie” come se le classi dirigenti e la cultura ufficiale (di cui Galasso era ed è autorevole esponente) anche post-laurina avessero procurato a Napoli (!) e al Sud “vantaggi e primati”… Dopo 150 anni di subalternità e di rassegnazione assecondate da classi dirigenti complici, colpevoli e interessate, quali sarebbero i rischi, allora, di questa “euforia borbonica”? E se ripartissimo proprio con classi dirigenti più fiere, radicate, arrabbiate, degne di rappresentare i meridionali a differenza di quelle formate (da chi?) nel corso della nostra storia e pronte, finalmente a chiedere pari diritti in un’Italia veramente e finalmente unita?
Prof. Gennaro De Crescenzo
Prof. Gennaro De Crescenzo